martedì

Ieri ho vissuto uno di quei giorni che ti cambia la vita.


Ieri ho vissuto uno di quei giorni che ti cambia la vita.
Da militante radicale è arrivato il giorno di poter accompagnare per una visita ispettiva al carcere della Dozza la deputata Rita Bernardini, al 13esimo giorno di sciopero della fame, e Monica Mischiatti, segretaria dell'Associazione Radicali Bologna. Già conoscevo le cattive condizioni della struttura e anche le problematiche dovute all’affollamento. Nella mia testa doveva essere solo un giorno qualunque, come gli altri. Per tutto il  viaggio in auto prima di arrivare davanti alla casa circondariale Dozza sono rimasto in rigoroso silenzio, come se già avvertissi quello che stavo per vedere, un silenzio preparatorio.
Il carcere della Dozza si trova in una situazione che si può ormai definire drammatica: 1141 detenuti a fronte di una  capienza di 480 posti. I diversi bracci in cui è articolato il carcere sono composti da 25 celle di 11 metri quadri ciascuna, contenenti ognuna 3 detenuti: sembrerebbe una superficie sufficiente, ma se si aggiungono anche solo le suppellettili di prima necessità, quali letti, armadietti e sgabelli, la metratura calpestabile si riduce sensibilmente, consentendo circa 2 metri quadri di praticabilità.
Per i detenuti il tempo trascorso all’interno delle celle corrisponde quasi all’intera giornata infatti, se si considera che le ore giornaliere d’aria sono solamente tre, si può comprendere fino a che punto le condizioni di soggiorno siano disagevoli. Tra l’altro queste ore vengono trascorse in uno spazio anch'esso esiguo dove il cemento, ricoprendo ogni superficie e scalzando ogni possibilità di apportare
una nota di colore costituita anche dalla semplice erba, contribuisce notevolmente al perdurare della claustrofobia quale imperativo di spietata durezza.
Ma questa non è che la sola punta dell’iceberg. L’idea che almeno le normali pratiche di carattere igienico e sanitario vengano seriamente prese in considerazione e applicate con opportuno rigore, viene abbandonata non appena si salgono le scale che conducono ai bracci dei piani superiori, dove si può sperimentare l’esperienza d’essere dei mal capitati spettatori del più nauseabondo tripudio olfattivo.
Trattasi degli scarichi fognari: per un’inversione che normalmente non dovrebbe essere concessa, accade che il tanfo anziché giacere alle più basse profondità, riemerge fino a raggiungere metri e metri d’altezza. E ancora, le docce comuni dove il calcare ha ormai corroso la superficie che faceva identificare delle piastrelle in quanto tali, trasformandole in qualcosa d’indefinibile dal punto di vista edile, ma che i sensi (vista e tatto in questo caso) non faticano a riconoscere come delle quasi macerie in cui la muffa, che interamente ricopre il soffitto, regna come unica ed incontrastata sovrana. Nonostante le ovvie e nocive conseguenze per la salute di chi pratica quei luoghi, tutto gode d’un imperturbabile noncuranza.
Lo dimostrano altri elementi riscontrati come: docce prive di soffione e ridotte dunque a semplice tubo; irregolare distribuzione dell’acqua, specie nel periodo estivo, quando l’utilizzo dei sanitari al primo piano ne impedisce la risalita ai piani superiori.
Inutile dire ancora una volta quanti e quali disagi tutto ciò genera in quella che dovrebbe essere una garanzia igienica per i detenuti, nonché i malumori di ogni singolo individuo a cui questa garanzia viene negata.
Altro problema riscontrato sono gli alti prezzi che i detenuti pagano per le proprie spese ordinarie. Solo per fare un esempio, un rasoio da barba costa circa dieci euro.
Ma anche per chi svolge il proprio lavoro in questa struttura, la situazione non è certo più rosea, basti pensare al deficit di duecento poliziotti penitenziari per rendersi conto degli innumerevoli turni a cui si deve far fronte.

Da più di un mese Marco Pannella rifiuta il cibo e da oggi anche l’acqua. Ha già perso più di 30 kg e fa tutto questo con 5 by-pass e migliaia di lotte non violente alle spalle. Prima di ieri mi chiedevo, non riuscendo a capire, perché un uomo di ottant'anni dovesse rischiare la vita per delle battaglie sì di democrazia, ma che solo pronunciando la parola “amnistia” ti fanno solo perdere voti.
Ma quando esci da quei luoghi capisci che non è importante l’interesse elettorale bensì la dignità delle persone, abbandonate da uno stato illegale e fuori legge, ancor di più di qualsiasi criminale che posso aver incontrato per quei corridoi.